Sprecare o non sprecare è anche una questione di atteggiamento mentale. Passare dall’idea di massimo utilizzo e recupero a quella di scarto e rifiuto talvolta è un attimo. Scoprire come i nostri nonni avessero una tendenza quasi ostinata a consumare poco e facessero tesoro anche del più piccolo oggetto, può aiutarci a comprendere quale direzione prendere per cambiare i nostri comportamenti e renderli più sostenibili.
Per questo leggere ‘L’economia dei contadini - il laboratorio dell’aia fondato sul riciclaggio completo” può avere un senso. Un piccolissimo libro sulla storia dell’ecologia della civiltà contadina scritto da Carlo Lapucci, studioso di tradizioni popolari. In questo libro quel che più stupisce è “…l’ammirevole organizzazione e la sapiente utilizzazione di ogni risorsa per cui tutto quello che entrava nell’aia veniva capillarmente sfruttato, selezionato, finché i rifiuti si facevano sempre più esili al punto che quanto non aveva trovato altro impiego con la macerazione, con la diluizione, con la combustione, tornava come fertilizzante alla terra. Nessun spreco, nessun rifiuto, nessun inquinamento”.
Tutto nelle cascine era trasformazione e riciclaggio. Un esempio è la vecchia lavorazione del latte che dava burro, poi formaggio e infine siero, che era usato come alimento per i porci. Giustamente il porco era infatti detto ‘il salvadanaio del contadino’: ciò che avanzava si dava a lui che, a suo tempo, lo restituiva in salumi. Le vinacce dell’uva erano vendute per la distillazione o destinate a concime. Oppure se ne traeva l’acquato o acquerello, un liquido leggero e dissetante. Con i residui del vino, che non era possibile far sedimentare e depurare, si faceva l’aceto, cosa che potremmo fare ancora oggi con il vino avanzato nelle bottiglie, ma che ha ormai preso un sapore ‘forte’.
Un capitolo è poi dedicato alla cucina, di come fossero valorizzati gli ingredienti, i piccoli espedienti per renderli appetitosi. A questo proposito l’uso sapiente delle erbe aromatiche, dei funghi e delle erbe di campo. I piatti in cui si usava il pane raffermo, la carne avanzata e i resti delle altre vivande. Tutto aveva un ruolo ben preciso in questo processo di risparmio e di recupero.
Oggi non possiamo certamente replicare “schemi che richiedono spazi, tempi, lavoro, strumenti, operazioni che nel mondo industriale non hanno utilità né senso. Ma se del passato si devono eliminare le forme transitorie, sono da conservare i valori….In questo caso bisogna recuperare, attraverso l’intelligenza, quel criterio un tempo imposto dalla penuria…la rinunzia allo spreco e alla dispersione, il recupero del possibile, la riduzione al minimo dei rifiuti. Tutto si sintetizza in una formula: il rispetto dell’uomo, delle cose e dell’ambiente, in una parola: di se stessi e del prossimo”.