Upcycled food: quando il riciclo rende le eccedenze alimentari una risorsa di qualità 

Oggi si sente molto parlare e si legge di “upcycled food”. Cosa significa? Il termine è ovviamente anglosassone e indica i casi in cui gli scarti alimentari - dalle bucce e i semi della frutta alla polpa di verdura scarto delle più diverse preparazioni, dagli scarti dalla lavorazione di grani ai prodotti che non raggiungono gli standard estetici richiesti dalla grande distribuzione -  vengono recuperati per essere re-immessi nella catena produttiva, non necessariamente alimentare. Non si parla quindi dello spreco di cibo che avviene all’interno delle famiglie, ma piuttosto della produzione di eccedenze da parte di aziende che si occupano ad esempio di trasformazione alimentare, ma non solo. Eccedenze che, appunto, possono essere utilizzate evitando, oltre allo spreco, anche - lo sappiamo - un importante impatto ambientale negativo. Oltre alla creazione di nuovo valore. 

 

Le buone pratiche italiane

Tessuti creati dagli scarti degli agrumi - RiciblogNegli anni, Riciblog ha esaminato diverse buone pratiche di questo tipo. Dal caso - uno dei primi, almeno nel nostro Paese nel 2017 - di Orange Fiber, ecofilato ottenuto dai sottoprodotti derivanti della spremitura degli agrumi, a quello di Ananas Anam che produce similpelle partendo dalle foglie di scarto dell’ananas rimaste sul campo dalla raccolta dei frutti ed altri ancora.

Per arrivare al più recente caso delle sneakers Id.Eight prodotte in vari modelli con materiali ottenuti dalla trasformazione degli scarti della frutta. Oggi sono molto presenti sulle piattaforme social e - ci auguriamo - anche nelle scelte di acquisto, soprattutto dei più giovani.

In Italia non disponiamo al momento dati specifici sul fenomeno a livello industriale. Qualche mese fa avevamo dato conto dei dati presentati dall'Osservatorio Food Sustainability della School of Management del Politecnico di Milano relativamente alle strategie aziendali nell’ambito della trasformazione alimentare, ambito nel quale è maggiore la quantità di eccedenze e scarti generati. Dati che analizzavano nel complesso le pratiche di donazione o riuso.  

 

Negli Stati Uniti un mercato ad hoc

Sistema di certificazione UpcycledCertified - RiciblogNegli Stati Uniti esiste un'associazione fondata qualche anno fa, la Upcycled Food Association, che si occupa proprio di questo tema. La sua mission consiste nel promuovere il riutilizzo delle eccedenze considerandolo tra le più incisive soluzioni per contenere la crisi climatica, oltre a sostenere la specifica industria dell’upcycling negli Usa sensibilizzando i consumatori perchè acquistino e richiedano sempre più prodotti ottenuti attraverso questa pratica.

Ad oggi i membri di Upcycled Food Association sono un centinaio. Producono soprattutto alimenti, dai biscotti e gli snack alle bevande, ma anche e sempre di più, cosmetici. Per i loro prodotti è stato creato un marchio di garanzia che ne contraddistingue la specificità e ne permette la facile individuazione sugli scaffali dei punti vendita. Il Ceo di UFA, Amanda Oenbring, e altri membri dell'associazione hanno partecipato lo scorso giugno al ReFED Food Waste Solutions Summit 2024,  a Baltimora (Usa). L'edizione 2025 si svolgerà a Seattle dal 23 al 25 giugno prossimi. 

Food Waste Solution Summit - RiciblogSempre negli Stati Uniti, opera Where Food Comes From, Inc. (Wfcf), ente per la verifica indipendente delle pratiche di produzione alimentare nel Nord America.

Lo scorso aprile, Wfcf ha acquisito da Upcycled Food Association il programma di certificazione Upcycled Certified® che attesta il rispetto di standard prestabiliti da parte dei prodotti immessi sul mercato.

E ha contestualmente diffuso alcuni dati sul settore: 

  • Negli Stati Uniti, il 40% del cibo coltivato ogni anno resta invenduto o non consumato. ReFED, una delle principali organizzazioni di ricerca sullo spreco alimentare, stima che 80 milioni di tonnellate di cibo vengano sprecate ogni anno negli Stati Uniti con una perdita finanziaria di 310 miliardi di dollari.
  • Un rapporto di Future Market Insights stima che il valore dell’industria alimentare riciclata sia superiore a 46 miliardi di dollari e sia in crescita.
  • Negli ultimi tre anni l’upcycling è stato costantemente in cima alle liste delle tendenze alimentari, tra cui Food Tank, Kroger, Forbes e Whole Foods Market.
  • Un sondaggio di Innova Market Insights ha mostrato che il 62% dei consumatori è disposto a pagare di più per un prodotto che combatte lo spreco alimentare. 
  • Un sondaggio di Hartman Group ha mostrato che il 70% dei consumatori aveva una maggiore intenzione di acquistare alimenti Upcycled Certified® quando il sigillo era sulla confezione. 
  • Secondo Project Drawdown, diminuire gli sprechi alimentari è la soluzione numero uno per ridurre la necessità di terra e risorse utilizzate per produrre cibo, nonché contenere i gas serra rilasciati. 

 

Il riciclo o riutilizzo, una tradizione antichissima

Del resto, il riciclo degli alimenti non utilizzati, scartati o avanzati, è una tradizione per di più con radici antichissime - primordiali, si potrebbe anche dire - motivate dall’esigenza di utilizzare sino in fondo ciò che si ha a disposizione, soprattutto quanto si ha poco. A a che fare con l’esigenza di fare tanto con poco, con il voler fare (come è giusto) con il cibo quello che è meglio e di farlo al meglio. Ma soprattutto, riciclare gli alimenti porta al contenimento dello spreco e alla creazione di cibo di qualità, nutriente. 

Un gruppo di esperti di diverse università e altri organismi - Harvard Law School, Drexel University, World Wildlife Fund, Natural Resources Defense Council, ReFED - si sono applicati a questo tema e nel 2020 hanno diffuso una definizione ufficiale per “upcycled food”, cibo riciclato. Eccola: usa ingredienti che altrimenti non sarebbero arrivati alla consumazione degli esseri umani, che vengono acquistati e prodotti utilizzando catene di fornitura verificabili e hanno un impatto positivo sull’ambiente”.

 

La collaborazione tra aziende e Università per l’economia circolare

Casi di upcycled food si sono stati avviati all’interno di progetti sperimentali realizzati da aziende del settore alimentare in collaborazione con istituti universitari, come nel caso del Gruppo Nestlé. In team con le università del territorio opera per raggiungere la circolarità della filiera della nocciola all’interno di un progetto finanziato dai fondi Prin (Progetti di Rilevante Interesse Nazionale) del Ministero dell’Università e della Ricerca. Obiettivo: la riduzione e la valorizzazione degli scarti agroindustriali e il loro impiego nei mangimi per gli animali in ottica di economia circolare e di sostenibilità nel settore agroalimentare. 

Progetto di riciclo cuticole delle nocciole - RiciblogNestlé e il progetto Live-haze con le cuticole di nocciola

Battezzato Live-Haze, il progetto utilizza le cuticole di nocciola solitamente separate dal frutto durante la fase di tostatura e gestite come scarti. Il loro utilizzo nell’alimentazione per gli animali risulterebbe particolarmente idoneo grazie all’elevata concentrazione di polisaccaridi, acidi grassi e sostanze antiossidanti come i tocoferoli. Al contempo, rappresenterebbe una valida soluzione per contribuire a ridurre gli sprechi a tutti i livelli della filiera, incentivando pratiche di economia circolare. 

Tre le fasi in cui si articola il progetto: parte dalla caratterizzazione delle cuticole di nocciola e dalla creazione di un estratto green di polifenoli per poi passare alle prove in vivo. Dopo aver studiato gli effetti in vivo sull’ossidazione, il microbiota, le prestazioni e su altri fattori, si procede all’analisi dei derivati, ovvero carne e latte. Contemporaneamente viene condotta un’indagine sugli impatti di questa idea circolare valutando l’accettabilità sociale e di sostenibilità ambientale, guidata dal Prof. Simone Blanc di UniTo, mediante il coinvolgimento di consumatori e delle aziende che aderiscono al progetto.  

“Dare nuova vita a un piccolo scarto può contribuire a rendere la nostra filiera sempre più sostenibile e un modello di economia circolare da esportare, insegnandoci quanto niente possa essere davvero considerato un rifiuto, bensì una preziosa risorsa” - ha dichiarato Marta Schiraldi, Head of Sustainability Nestlé Italia – “Come azienda che opera nel settore agroalimentare abbiamo la responsabilità di trovare soluzioni per limitare gli sprechi e ridurre l’impatto delle nostre produzioni. Siamo certi però che lavorare da soli non basti, ma che la collaborazione con altre imprese, start up e Università sia fondamentale per accelerare lo sviluppo di nuove pratiche e tecnologie e raggiungere risultati sempre più significativi”. 

Oltre alle diverse aziende del comparto, l’iniziativa vede la partecipazione di un team di ricercatori di cinque Atenei italiani: Università di Torino, Università di Catania, Università degli Studi di Milano, Università degli Studi di Perugia e Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia. 

A Roma, La Sapienza nel progetto di riutilizzo dei residui della produzione dell’olio evo

Altre esperienze, coordinate dall’Università la Sapienza di Roma, mostrano come i residui della produzione di olio extravergine d’oliva possano essere valorizzati in composti immunostimolanti e antimicrobici, efficaci nella protezione delle piante da malattie come come Xylella fastidiosa con risultati che sono stati pubblicati sulle riviste Plant Stress e Plant Physiology and Biochemistry. Una soluzione che risolve le sfide ambientali date dalla crescente produzione globale di olio d'oliva. Gli scarti generati dai frantoi, infatti, spesso non vengono smaltiti in modo controllato, causando danni al suolo e compromettendo la salute microbica a causa dell'alto contenuto di tannini e composti fenolici. 

Invece la gestione sostenibile dei rifiuti agricoli è fondamentale per la salvaguardia ambientale. In risposta a questa esigenza, il team di ricercatori coordinato da Vincenzo Lionetti del Dipartimento di Biologia e biotecnologie Charles Darwin della Sapienza ha sviluppato approcci innovativi di chimica verde per riciclare i residui dei frantoi, come la sansa d’olive, trasformandoli in agenti naturali di protezione delle piante. Il progetto ha visto il coinvolgimento anche dell’Istituto della protezione sostenibile delle piante del CNR di Bari, le aziende Agrolio e Bioenutra, e università spagnole e danesi.

“Gli estratti ottenuti - spiega Lionetti - agiscono anche come attivatori naturali dell’immunità delle piante, stimolando i meccanismi di difesa innati e potenziando la capacità delle piante di affrontare le infezioni”. Preparando il sistema immunitario, gli estratti naturali identificati si configurano come un’alternativa ecologica ai pesticidi chimici, contribuendo così a ridurre l’impatto ambientale delle soluzioni sintetiche e sostenendo pratiche agricole più rispettose della natura. “Questa innovazione offre nuove opportunità per utilizzare i sottoprodotti dei frantoi, trasformando i residui agricoli in strumenti preziosi per la gestione integrata di diversi parassiti – afferma Lionetti – inoltre, promuove un'economia circolare sostenibile nel settore agro-industriale, contribuendo a ridurre l'uso di pesticidi nocivi per la salute umana e per l’ambiente”.

La Camera di Commercio di Padova partner di un progetto internazionale

Altre esperienze italiane mettono in pratica il concetto dell’upcycling food: alcune sono realizzate sotto il cappello del progetto europeo CIREVALC Introducing and upscaling CIRcular Economy models in regional VALue Chains in the food, catering and packaging sectors. All’iniziativa - finanziata dal programma Interreg Central Europe per un importo di 2,3 milioni di euro - partecipa la Camera di Commercio di Padova, unico partner italiano, accanto a realtà di altri otto Paesi del continente. L'obiettivo: accompagnare le aziende del settore alimentare, della ristorazione e del packaging nell’adozione di modelli di economia circolare, coinvolgendo attivamente le comunità locali. 

Nell’ambito di questa iniziativa, si è chiuso a dicembre un bando per la selezione di 12 imprese dei settori interessati dal progetto e con sede operativa in Veneto: le realtà individuate per questa prima azione pilota verranno coinvolte nello sviluppo di un piano di transizione circolare, un percorso gratuito di consulenza che avrà come output la redazione in un report con le indicazioni per migliorare il sistema produttivo nell’ottica dell’economia circolare.

Nella regione sono già operativi alcuni progetti nell'ambito dell'upcycling food. Come, ad esempio, le Distillerie Bonollo Umberto e Rigoni di Asiago.

Progetto di recupero delle vinacce - RiciblogDistillerie Bonollo Umberto e Rigoni di Asiago già attivi sul fronte dell'upcycling food

Al centro dell’esperienza proposta da Distillerie Bonollo Umberto il progetto che ha portato al recupero della vinaccia impiegata per realizzare i distillati dello storico marchio di Mestrino. Nella logica dell’economia circolare, dopo la produzione della grappa, la vinaccia viene nuovamente utilizzata per creare altri sottoprodotti. Il residuo della prima lavorazione dell’uva conosce così una terza vita e viene impiegato per la produzione dell’acido tartarico utilizzato nel settore alimentare e in enologia come correttore di acidità, ma anche nell’industria alimentare e nel settore farmaceutico per la preparazione di specifici medicinali. Non solo: i vinaccioli estratti dalla vinaccia vengono utilizzati per ottenere l’omonimo olio alimentare, utilizzato, per le sue proprietà benefiche, nella cosmesi e nell’industria alimentare. Le buccette d’uva essiccate sono destinate all’industria di produzione dei mangimi animali. Dai vinaccioli, in alternativa all’impiego descritto in precedenza, vengono estratte sostanze antiossidanti destinate al settore della nutraceutica (integratori alimentari). 

Progetto per il recupero dei residui di lavorazione - RiciblogSull’Altopiano dei Sette Comuni, Rigoni di Asiago, realtà leader nella produzione di miele e confetture, ha scelto la strada del biologico, intraprendendo un cammino di sviluppo sostenibile, con il preciso obiettivo di ridurre l’impatto della produzione sull’ambiente, limitando fortemente il consumo di combustibile fossile e evitando l’uso intensivo dei terreni e dell’acqua. Fra le iniziative attivate, il progetto SARR - Sistemi Avanzati per il Recupero dei Rifiuti, condotto con la rete Veneto Green Cluster: grazie alla collaborazione con enti universitari e con un partner esterno specializzato nel trasferimento tecnologico per la caratterizzazione fitochimica dei residui e di formulati a partire dai residui di lavorazione - quali mirtilli, more, lamponi, sambuco e mele -  è stata sviluppata una nuova linea di ingredienti da impiegare nel settore della nutraceutica e della cosmesi.

 

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