Cene gourmet a base di avanzi e di scarti, interpretate da chef creativi, osti e azdore, figura, quest'ultima, che vi spiegheremo meglio più avanti.
Obiettivo: diffondere la cultura del recupero in cucina in modo leggero e conviviale, ma con un contenuto che va anche oltre il semplice riuso e la riduzione degli sprechi.
‘Tempi di recupero’ è un progetto ideato da Carlo Catani, esperto di enogastronomia e direttore per cinque anni della rinomata Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo.
Tutto è iniziato sei anni fa per tenere vivo il sogno di un amico che se n’era andato. Il sogno era l’Osteria della Sghisa di Faenza.
“Volevamo dare una mano affinché l’Osteria proseguisse nell’attività – racconta Catani -. Abbiamo perciò ipotizzato di organizzare cene conviviali che, al tempo stesso, avessero un senso. Ho pensato al tema del recupero in cucina, da trasmettere però agli ospiti in maniera divertente e ‘cool’, mentre si gusta del buon cibo, preparato con gli scarti o con gli avanzi, e si beve dell’ottimo vino”.
A interpretare il tema, Catani ha invitato tre tipi di protagonisti: chef creativi, osti e azdore che, attraverso quattro/cinque portate, raccontano il loro concetto di recupero. Un recupero non solo di cibo ma anche delle tradizioni e di una cultura del tempo che fu, spesso difficili da tramandare ai posteri.
E in fatto di tradizioni, senza nulla togliere alla bravura di osti e chef, le migliori ambasciatrici sono sicuramente le azdore, termine romagnolo con il quale si indicano le donne che ‘reggono’ la casa nel senso più ampio della parola.
“Da noi – prosegue Catani – vengono donne di 70/80 anni a raccontare le loro storie. Nei primi quattro anni, tutte le serate sono state organizzate all’Osteria della Sghisa, di lunedì. Un giorno difficile per i ristoratori ma con un pregio. Di solito il lunedì è giorno di chiusura e per questo è stato più facile coinvolgere chef e osti senza creargli problemi di lavoro”.
Dopo quattro anni, il progetto si è sviluppato in tutta Italia con serate di tre tipologie. Alcune volte, il ristorante che ospita la cena ha un suo menu di recupero, altre volte è ‘Tempi di recupero’ che porta un ospite esterno. In tal caso si prepara un menù a quattro mani, magari con due piatti realizzati dal ristoratore e tre dall’ospite. O ancora, è l’ospite che interpreta il menu del recupero: recupero della tradizione, identificato con il simbolo di un matterello; degli avanzi, simboleggiato da una polpetta, o del quinto quarto.
“I menù proposti dagli chef – dice ancora l’ideatore del progetto - vengono supervisionati da noi per essere certi del rispetto di alcuni requisiti. Ad esempio, che il cibo sia adeguato alla stagionalità. Chef e osti generalmente arrivano con la loro linea pronta (ovvero l’insieme degli ingredienti) da elaborare sul posto. Le azdore, invece, di solito si appoggiano di più al ristorante”.
Ma come partecipare alle cene e imparare al tempo stesso come abbattere gli sprechi? Sul sito del progetto sono visibili tutti gli appuntamenti. Si può prenotare attraverso il sito stesso ma anche direttamente al ristorante. E il costo?
“Ogni ristorante ha la sua policy – conclude Catani – ma noi chiediamo che la cena del recupero costi un po’ meno del loro standard perché gli ingredienti hanno ovviamente un costo più basso. I piatti proposti sono sempre originali. Il nostro obiettivo è combattere lo spreco, dimostrando che si possono gustare cose buone e gourmet anche con gli avanzi e gli scarti”.
Intanto il progetto è cresciuto e, dalle 6/10 cene annue dei primi quattro anni, l’obiettivo odierno è di proporne tre/quattro al mese. L’esperienza dei primi cinque anni è stata intanto riassunta nel libro ‘Tempi di recupero’ che contiene storie e ovviamente ricette.
Del libro vi parleremo però la prossima volta, quando potrete anche conoscere qualche particolare in più e quali le partnership più significative. Ma, soprattutto, vi racconteremo dei nuovi progetti: interessanti e ambiziosi. (continua)
le immagini sono tratte dal sito di 'Tempi di recupero'