La nuova moda veste i suoi clienti con tessuti di eucalipto e faggio, filati di cipresso, pelle di fungo, bucce d’arancia. E tinge i filati con colori ricavati da ortaggi, frutta, anche radici, foglie e fiori. Li definisce con nomi suggestivi - “Oro Mida”, “Verde Petrosa”, “Bruno Terre di Auletta” - come è avvenuto con i colori naturali ottenuti dagli scarti del carciofo bianco di Petrosa, in Campania. Consistenze e colori di una nuova filiera tessile che si intravede all’orizzonte del mercato italiano. Una filiera ecofriendly che un giorno potrebbe erodere quote di mercato a un’industria, quella tessile, che è la seconda più inquinante in termini assoluti e che sforna, tra l’altro, materiali sintetici e derivati dal petrolio in quantità.
Il mercato per prodotti a basso impatto ambientale esiste e ha una domanda in forte crescita. Ne è convinta Donne in Campo-Cia, associazione italiana di imprenditrici e donne dell’agricoltura e componente della Confederazione italiana agricoltori, al punto da avere lanciato il marchio Agritessuti, possibile punto di partenza della filiera del tessile Made in Italy 100% ecosostenibile, con tessuti naturali e tinture green realizzate con prodotti e scarti agricoli. Una filiera tutta da costruire come ha precisato Pina Terenzi, presidente nazionale di Donne in Campo-Cia, introducendo la novità, ma di grande attualità e in linea, ad esempio, con le sollecitazioni che Onu ha affidato all’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, sollecitando la costruzione di nuovi sistemi di produzione a minor impatto ambientale e con un ruolo positivo nei processi di riduzione dell’inquinamento, nel riciclo delle risorse e nella mitigazione dei cambiamenti climatici. “La sostenibilità, come chiede l’Onu, deve permeare tutto il business del tessile - ha detto la presidente di Donne in Campo - chiamato come gli altri settori a riformare se stesso: metodi di produzione salva-ambiente, con l’uso di tinture che sprecano meno acqua o l’utilizzo di rifiuti come materia prima”.
La nuova filiera degli Agritessuti potrebbe avere uno dei suoi rami di attività nella tintura dagli scarti dell’agricoltura: foglie dei carciofi, scorze del melograno, bucce della cipolla, residui di potatura di olivi e ciliegi, ricci del castagno. E coinvolgere, ad esempio, le oltre 3mila imprese produttrici di piante officinali tra le quali diverse sono anche tintorie. A queste si aggiungano le 2mila aziende agricole oggi impegnate nella produzione di lino, canapa, gelso da seta (per un fatturato di quasi 30 milioni di euro con le attività connesse) i cui filati sono già oggi spesso sottoposti a tintura a basso impatto ambientale.
Un esempio? A Salerno sono stati recuperati i residui di coltivazione (foglie a fine ciclo produttivo) e le bratte esterne derivanti dalla lavorazione del carciofo bianco di Pertosa (presidio Slow Food) per la preparazione di prodotti sott’olio. A partire dagli scarti sono stati ottenuti tre colori naturali (citati in apertura) che sono stati utilizzati per la tintura di tessuti in lana, seta, lino e canapa. Non solo: i residui del carciofo sono stati utilizzati anche per la preparazione di pitture naturali che sono state utilizzate all’interno del Museo MIdA 2. Mentre i residui di lavorazione della cipolla ramata di Montoro, presidio Slow Food del territorio campano, sono stati utilizzati per la preparazione di rivestimenti colorati da utilizzare nel settore della edilizia sostenibile.